Per
Borges, che amava il poema dell’Ariosto come la Divina Commedia e le
Mille e una notte, l’Orlando Furioso era fatto di sogni: «Scoria dei
sogni, \indistinto limo che il Nilo dei sogni lascia,\ con essi fu
intessuta la matassa \di questo risplendente labirinto». È una lettura
affascinante, e dunque vera. Bisogna dire tuttavia che mentre insegue i
suoi sogni Ariosto non dimentica la realtà sporca e sanguinosa del suo
tempo, quando le guerre d’Italia, con il potere devastante delle armi da
fuoco, laceravano il vecchio mondo e comportavano per le popolazioni
distruzioni, stupri, crudeltà di una inedita violenza.
È
vero anche che Ariosto, il poeta innamorato perso nei suoi sogni, il
cortigiano che contratta con i suoi signori i suoi spazi di libertà, è
anche un autore del tutto consapevole di vivere nella galassia
Gutenberg, nel mondo nuovo creato dal libro a stampa. È arrivato qui a
Mantova, qualche giorno fa, Lodovico Ariosto, scrive il 5 maggio 1516
Ippolito Calandra a Federico Gonzaga e ha portato con sé una cassa di
libri, «li quali lui a composto sopra a Orlando»; ha regalato alcune
copie ai duchi e al cardinale, «li altri lui li vole fare vendere». Il
Furioso mostra, anche sotto questo aspetto, tutta la sua modernità: è il
primo grande classico moderno di cui l’autore cura sia la scrittura che
la stampa e la diffusione, fino alla edizione ultima, del 1532, che lo
vede stanco e insoddisfatto e lo condurrà quasi alla morte.
Divenuto
rapidamente un best seller, il poema acquista fama europea: influenza
non solo le grandi opere, a cominciare dal Don Chisciotte, ma anche le
feste, i rituali delle corti, e nello stesso tempo, pastorelle
analfabete lo imparano a memoria, e ne cantano le ottave, come ci
testimonia Montaigne. E la regina Elisabetta I d’Inghilterra bandisce
per un po’ dalla corte uno dei suoi favoriti, John Harington, perché ci
mette troppo tempo a tradurre il poema. Le immagini giocano quasi da
subito un ruolo importante in questa vicenda: le edizioni
cinquecentesche accompagnano il testo con illustrazioni sempre più
raffinate; i suoi personaggi, i suoi luoghi incantati, travalicano la
pagina, prendono vita nelle maioliche, nella pittura, nella musica, nel
teatro, nei fumetti; attraverso i secoli, fino a oggi, il poema continua
a sollecitare gli artisti, a rivivere in mille forme diverse. Possiamo
farcene un’idea ripercorrendo i 20 saggi e le 500 illustrazioni di un
libro pubblicato lo scorso anno dalla Treccani, L’Orlando Furioso nello
specchio delle immagini a cura di chi scrive. A secoli di distanza 1.
Julius Veit Hans Schnorr von Carolsfeld, «Matrimonio di Ruggiero e
Bradamante alla presenza di Carlomagno», affresco, 1822-1823, Roma,
Casino Massimo Lancellotti, Stanza dell’Ariosto. 2. Giambattista
Tiepolo, «Ruggiero libera Angelica dall’orca», affresco; 1756-1757
Vicenza, Villa Valmarana ai Nani, Stanza dell’Orlando Furioso 3.
Frontespizio dell’Orlando Furioso, xilografia tratta da «Orlando fvrioso
di Lvdovico Ariosto Nobile Ferrarese, con somma diligenza tratto dal
suo fedelissimo esemplare, historiato, corretto, et nuouamente stampato,
In Vinegia», per Nicolo d’Aristotile di Ferrara detto Zoppino, del mese
di nouembrio 1530, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Palat.
E.6.5.18 Le immagini sono tratte dal volume «L’Orlando Furioso nello
specchio delle immagini», curato da Lina Bolzoni (Istituto dell’
Enciclopedia Italiana, Roma, 2014) abbiamo provato a riprendere una
bellissima suggestione di Galileo Galilei, che amava il Furioso tanto da
saperlo a memoria: «quando entro nel Furioso, veggo aprirsi una
guardaroba, una tribuna, una galleria regia, ornata di cento statue
antiche de’ più celebri scultori». In un certo senso abbiamo provato a
prendere alla lettera Galileo, abbiamo cercato di ricreare quella
bellissima galleria, che ormai si è arricchita attraverso i secoli,
sperimentando i più diversi mezzi di espressione, fino all’ Web.
Ma
torniamo a Ariosto, che arriva a Mantova all’inizio di maggio del 1516,
con una cassa di libri. Erano le copie fresche di stampa del suo poema,
«impresso in Ferrara per Maestro Giovanni Mazocco» il 22 aprile 1516.
Sono passati esattamente cinque secoli da allora; il Ministero dei Beni
Culturali ha creato un apposito comitato per le celebrazioni. Certo un
classico vive di vita propria, ma nel mondo di oggi un centenario può
offrire un’occasione preziosa per ridestare l’attenzione verso un testo
che magari si è letto solo in parte e distrattamente, e anche per far
scoprire a nuove generazioni, di diversa età, il piacere straordinario
di una lettura che apre tutti i confini del mondo, ci fa volare con
l’ippogrifo e ci fa riconoscere la forza vitale del desiderio e insieme i
germi di follia che porta con sé. Sono previsti convegni di studio in
diverse università italiane e straniere, fra cui uno a Londra, alla
British Academy, e altri negli Stati Uniti, in Canada, in Francia, in
Germania. Un ruolo da protagonisti giocano i giovani ricercatori
italiani che, non sempre per libera scelta, lavorano e insegnano
all’estero: una ricaduta positiva della nostra diaspora intellettuale.
Momento
qualificante del Centenario sarà la mostra che si terrà a Ferrara, nel
Palazzo dei Diamanti, « Orlando Furioso. 500 anni. Cosa vedeva Ariosto
quando chiudeva gli occhi», dal 24 settembre 2016 all’8 gennaio 2017, a
cura di Guido Beltramini e Adolfo Tura. La mostra offrirà un panorama
delle opere d’arte che possono avere ispirato l’immaginario ariostesco;
l’arco cronologico sarà dunque quello precedente o contemporaneo alla
scrittura del poema.
Sul
versante della fortuna figurativa e teatrale del Furioso si collocherà
invece la mostra prevista a Villa d’Este, curata da Marina Cogotti,
Vincenzo Farinella, Monica Preti, che proporrà diversi esempi di come il
poema abbia ispirato i pittori, fra Sei e Ottocento, e permetterà ai
visitatori di rivivere, attraverso disegni e oggetti di scena, quella
straordinaria rilettura moderna del poema che Luca Ronconi mise in scena
prima nelle piazze e poi per la televisione.
Una
mostra bibliografica avrà inoltre luogo presso la Biblioteca Comunale
Ariostea, a Palazzo Paradiso. Accanto ai tesori ariosteschi che la
biblioteca conserva, si presenterà al pubblico il Dono Segre
Debenedetti, una preziosa raccolta libraria che ha accompagnato il
lavoro dei due grandi studiosi cui dobbiamo l’edizione critica del
poema. La mostra sarà inaugurata proprio il 22 aprile, e l’Ariosto sarà
anche fisicamente presente, visto che nel 1801 la sua tomba è stata
trasferita proprio a Palazzo Paradiso, allora sede dell’Università, dal
generale napoleonico Miollis, che ha voluto togliere i resti del poeta
dalla chiesa in cui era stato sepolto per trasportarli nel tempio della
nuova religione, dove si coltivava il sapere.
Se
Ferrara gioca un ruolo da protagonista nelle celebrazioni del suo
poeta, altri luoghi sono attivamente coinvolti, a cominciare dalla
Valtellina, dove da alcuni anni c’è una attenzione particolarmente
vivace per la valorizzazione degli affreschi che testimoniano una
precoce fortuna figurativa del poema. E soprattutto ci sono iniziative
che coinvolgono le scuole, e letture integrali del poema, che faranno
rivivere nelle strade e nelle piazze le sue meravigliose ottave, il cui
ritmo Foscolo aveva paragonato alle onde che si rincorrono e si
infrangono nell’Oceano.